10 Ago 2016
World Class Manufacturing WCM
Oltre il toytismo, un cammino percorribile?
Un mio piccolo contributo . . . leggendo qua e là . . . scritti di Maurizio Canauz
Rispetto al taylorismo e a al toytismo la filosofia produttiva che è alla base del World Class Manufacturing ha, a mio parere, un minore impatto innovativo.
Essa si basa, infatti, su alcuni approcci già noti che ne costituiscono l’ossatura, tra cui il Just in- Time (JIT), il Total Quality Management (TQM) ed il coinvolgimento dei dipendenti o Employee Involvement (EI).
Analizziamo brevemente, ad esempio, il rapporto tra Jastin – time e Word Class Manufacturing.
Word Class Manufacturing.
Lo scopo del world class è quello di fornire una risposta rapida, flessibile, ed affidabile alle richieste dei clienti al minor costo e con la minima dipendenza dalle scorte. Per raggiungere questi obiettivi è necessario procedere ad un’eliminazione progressiva di ogni forma di spreco, in particolar modo di quegli sprechi che incidono sulle scorte di prodotti e di materiali in corso di lavorazione, sulla capacità di consegna rapida ai clienti, sulla flessibilità di risposta ai cambiamenti della domanda dei clienti. Tutto questo è possibile soltanto portando il sistema produttivo e logistico in condizioni di maggiore stabilità dinamica. Apparentemente in modo paradossale, è attraverso la semplificazione gestionale e la ricerca di una crescente standardizzazione e ripetitività delle operazioni, che il just-in-time consente una maggiore flessibilità.
Il meta-obiettivo della produzione JIT deve essere il raggiungimento della massima continuità, regolarità ed integrazione operativa del flusso di materiali, e noi aggiungeremmo anche di informazioni, che attraversa l’intero sistema operativo, minimizzandone al contempo il lead time. Da questo concetto nasce la lotta ad ogni forma di spreco, in particolare quella all’accumulo di scorte, e la spinta alla continua riduzione dei lotti di produzione. Questo perché, da un lato, le scorte determinano il disaccoppiamento delle fasi dei processi, ostacolandone la reanufacturing
L’Employee Involvement è considerato l’elemento di collegamento, nonché, ad un tempo, condizione e conseguenza dei precedenti.
Prendendo in prestito una metafora utilizzata da Yamashina, dell’università di Kyoto, per essere abbastanza forti nella produzione, è necessario avere buoni cervelli, che richiede total quality management, ma anche muscoli forti, cioè una capacità di produzione resistente, che richiede la produzione just-in-time.
Inoltre, è necessario possedere anche un buon sistema nervoso per connettere i cervelli con i muscoli, che significa avere dipendenti fortemente coinvolti.
Ciò che spinge a prendere in considerazione insieme questi elementi non è solo il fatto che essi condividono la stessa base di principi, ma soprattutto gli effetti sinergici potenziali che possono essere ottenuti da una loro attivazione e crescita congiunta.
A questi elementi va aggiunto, secondo i teorici che si sono occupati di WCM, l‟importanza decisiva del managment.
L’ambiente WCM cresce, infatti, tanto più efficacemente quando è supportato da una guida risoluta da parte del management, e da un piano strategico ben definito.
La prima e fondamentale componente del WCM consiste, dunque, nella formulazione di un piano strategico che tenga conto dei seguenti elementi fondamentali per la sua realizzazione:
- come considerare il WCM, in termini di cos’è e come può fornire un vantaggio competitivo all’impresa;
- come diventare più competitivi, date le forze e debolezze attuali;
- come e dove iniziare l’implementazione;
- come articolare e comunicare la vision, il piano di implementazione ed i benefici a tutti i membri dell’organizzazione;
- come controllare i singoli progetti focalizzati;
- come alimentare l’implementazione e favorire il cambiamento;
- come mantenere l’impulso e la spinta iniziali e far avanzare il processo evolutivo verso l’eccellenza produttiva.
Nella realizzazione del piano, come e più che nel toytismo, l’approccio integrato JIT/TQM necessita di coinvolgere il personale a tutti i livelli, e soprattutto la manodopera diretta, a cui deve essere garantita una certa visibilità del processo, nonché la consapevolezza degli obiettivi globali ed un ruolo ampliato dall’assegnazione di compiti di manutenzione, gestione, problem solving e miglioramento 38.
Il lavoratore non è però una entità a se stante nell’organizzazione ma opera in costante contatto con altri lavoratori.
Pertanto sia il just-in-time, sia il total quality management si basano sul concetto di team.
In un sistema JIT un lavoratore non può produrre un’altra unità finché l’addetto alla stazione di lavoro successiva non ne segnala il bisogno. Dall’altro lato, una difficoltà nella stazione a monte potrebbe bloccare il lavoro effettuato in quella a valle.
Pertanto, tutti i dipendenti devono lavorare come una squadra, anziché come individui, e i risultati devono essere valutati in termini di output realizzato dall’intero gruppo.
Ho già in precedenza sottolineato come questa dipendenza dei lavoratori fra loro per il conseguimento di un risultato possa essere considerata sia come una strategia vantaggiosa per l’organizzazione e per i singoli, o al contrario una forma sottile per aumentare la pressione e lo stress lavorativo a fronte sempre e comunque di una maggiore produzione.
Comunque sia il lavoro di squadra ed il ricorso ai gruppi per la soluzione dei problemi comportano un decentramento del potere decisionale e una maggiore rapidità di gestione della variabilità e dell’incertezza.
Secondo alcuni studiosi, ma questa visione mi sembra troppo enfatica, inoltre il lavoro di squadra renderebbe possibile il raggiungimento di una maggiore “ownership” del processo da parte dei lavoratori, condizione necessaria per ottenere dei suggerimenti per il miglioramento dei processi.
Maggiore è il grado di coinvolgimento dei dipendenti è maggiore è (o dovrebbe essere) il contributo di idee per il miglioramento del sistema di produzione, incoraggiato dall’interesse dimostrato dal management per ogni indicazione proposta.
Una delle conseguenza di questo cambiamento è il fatto che i manager e i supervisori devono modificare l’estrinsecazione e la forma del loro potere.
Diminuire l’attività di controllo e decisionale, a favore di una gestione meno gerarchica operando prevalentemente come facilitatori, coordinatori, addestratori. Allo stesso tempo, chi svolge funzioni tecniche deve cercare di diminuire le distanze, il gap tra teoria e pratica operando a contatto con gli addetti e con il lavoro di officina, per partecipare alla ricerca delle soluzioni dei problemi e per sviluppare praticamente nuove opportunità per il miglioramento continuo.
Tra le nuove competenze che devono essere acquistate dagli operatori per coinvolgerli maggiormente e per aumentare la finalizzazione della loro attività vi è quella dell’uso degli strumenti del controllo statistico del processo, in modo che possano avere un feedback informativo rapido, che gli consenta di scegliere e mantenere la giusta direzione nelle attività di miglioramento continuo.
Uso degli strumenti del controllo statistico di processo che possa consentire e facilitare un intervento veloce per le opportune azioni correttive.
Attraverso il coinvolgimento dei lavoratori e l’incremento del loro senso di responsabilità, i produttori world class tentano, inoltre, di rimediare all’abitudine comune e difficile da correggere di non fermare mai la linea, anche quando c’è la prova chiara di errori di processo, rimandando l’azione correttiva nelle ultime fasi del ciclo di produzione e riducendo così la possibilità di individuare e correggere le cause all’origine dei difetti con costi assai meno elevati.
Nella mentalità del lavoratore, soprattutto se deresponsabilizzato, conta spesso più produrre che non produrre bene.
Con l’introduzione della autonomazione, cioè il potere conferito agli operatori di fermare la linea, avviene un vero cambio di mentalità.
La retroazione e la correzione degli errori sono immediati.
Oltre a ciò poiché in un sistema just-in-time la produzione deve avvenire in base alla domanda, i lavoratori devono essere addestrati per svolgere compiti diversi, in modo da poter essere impiegati dove c’è maggiore bisogno, eliminando lo spreco di tempo generato dalle rigidità tipicamente connesse alle descrizioni dei ruoli in ambienti tradizionali.
I dipendenti chiamati ad operare in un ambiente JIT devono possedere molte competenze (multi-skilled), devono essere capaci di far funzionare macchine diverse, essere addestrati nel controllo della qualità, essere in grado di risolvere i problemi relativi alla qualità, e così via.
Inoltre se il coinvolgimento dei dipendenti è necessario per il successo del justin – time similmente esso è fondamentale anche per il total quality management, che richiede che tutti i dipendenti si assumano la responsabilità di assicurare la qualità del proprio lavoro e la loro partecipazione attiva nella ricerca del miglioramento continuo, nonché nell’identificazione ed eliminazione di ogni spreco.
Ma proprio il coinvolgimento dei lavoratori, pressante e continuo richiesto da questa nuova teoria produttiva, come cercano di testimoniare i concetti espressi in precedenza e che invito a rileggere soffermandosi con attenzione sui sempre crescenti compiti dei dipendenti (spesso non bilanciate da adeguamenti economici o da una riduzione dei carichi di lavoro), potrebbe essere in questo momento storico di precariato e di rapporti di lavoro insicuri, un aspetto assai critico su cui è difficile poggiare il successo dell’organizzazione di un’azienda.
Tra l’altro nell’introduzione alla ricerca Bruno Vitale scrive: «L’implementazione del World Class Manufacturing, altro nome per identificare la produzione snella, sta delineando la tendenza dell’azienda all’individualizzazione del rapporto con i lavoratori, con o senza il sindacato. Ma gli operai di Melfi, che l’inchiesta conferma essere gente molto “normale” nel rapporto con la propria azienda, oggi fanno resistenza passiva rispetto alla richiesta di partecipare al miglioramento continuo del processo di lavoro. Non si identificano con l’azienda, danno un consenso forzoso, determinato più che altro dalla “collaborazione forzata nei team e nelle Ute, dalle strategie di gestione delle risorse umane, dalle nuove e più sofisticate forme di controllo
Non ritengo utile in questa sede bilanciare i pro e contro di una sistema organizzativo ancora relativamente nuovo e quindi oggetto di analisi e aggiustamenti continui.
Tuttavia proprio a causa di questa relativa novità e per quanto sul WCM non manchino interessanti ricerche e pubblicazioni ritengo sia più appropriato, approfondire la sua analisi (sebbene parziale e incompleta) attraverso i commenti e i pensieri di chi questa organizzazione la sta applicando e vivendo.
Commenti che sono spesso dettati da percezioni legate al ruolo che si ricopre e che hanno, è bene precisarlo, più il valore della testimonianza che quello della trattazione scientifica.
Così, ad esempio, una pubblicazione dei sindacati autonomi descrive l’introduzione del WCM negli stabilimenti FIAT.
«La Fiat a Melfi per sfruttare ancora di più gli operai sostituisce il famigerato TMC 2, cerca di imporre una nuova metrica del lavoro il (WCM), e scattano gli scioperi.
Si svolge una delle tante “commissioni fabbriche integrate” e la Fiat comunica che cambieranno “le spalmature”, cercando il consenso del sindacato.
E’ tutto legato alla nuova metrica e alla nuova organizzazione del lavoro la quale stabilisce che direttamente collegata alla scocca della vettura ci sarà un carrellino con tutti i particolari da montare.
Nella UTE n. 1 e 2 al Montaggio è stato già sperimentato, il numero degli operai è rimasto invariato perché gli operai si sono ribellati.
Per “generalizzare la nuova organizzazione del lavoro”, ridurre ulteriormente i tempi e gli operai sulle linee, ci vuole il consenso del sindacato.
Il sindacato è restio a firmare ci sono 160 operai interinali a cui il 28 Luglio scade il contratto e si vocifera che saranno mandati a casa.
La Fiat tenta ugualmente di modificare le spalmature e i tempi di lavoro, partono subito gli scioperi.
Questa volta su tutti e tre i turni si fermano gli operai della UTE n. 1, 2, 3, e 4 e si blocca quasi completamente la produzione nello stabilimento, su un turno su 400 vetture da produrre ne vengono fatte neanche 50.»
Quelli espressi dal sindacato autonomo sono concetti e convincimenti assai negativi.
Il WCM sarebbe l’ulteriore tentativo da parte dell’impresa di aumentare i carichi di lavoro cercando di celare questa operazione dietro miglioramenti della qualità del lavoro che di fatto non esisterebbero.
Nessuna maggiore autonomia, nessuna possibilità di potersi realizzare nel lavoro.
Solo maggior fatica alla stessa paga.
Tali opinioni non trovano però conferma nel pensiero dei sindacati confederali solitamente diffidenti quando vengono inseriti questi modelli organizzativi.
Ad esempio l’introduzione del WCM nello stabilimento di Pratola Serra è considerato assai meno criticamente dalla CISL.
Valgano per tutte le parole di Giuseppe Zaolino da poco tempo alla direzione politica per la responsabilità dei rapporti della CISL con la Fiat su tutto il territorio campano. Secondo il sindacalista l’introduzione del WCM è
«Un traguardo che mette la fabbrica in una condizione di forza e di rilancio, in un momento storico importante per l’intera azienda che coincide con il lancio del nuovo motore Jtd 1.6″.
“Occorre valorizzare quest’aspetto – aggiunge Zaolino – per attirare nuovi investimenti, puntando finalmente sulla filiera dell’auto e il suo indotto».
Ancora più collaborative le parole, non di un lavoratore o di un sindacalista ma di un sociologo di chiara fama: Luciano Gallino.
Secondo Gallino:
«In generale, nell’industria dell’auto, sottoposta a una concorrenza mondiale intensa, le pressioni sui tempi di produzione e sull’organizzazione sono molto forti.
In Europa, però, si è compreso che la partecipazione dei lavoratori aumenta la qualità. L’esempio di diverse aziende tedesche è lampante: hanno saputo migliorare l’efficienza, coinvolgendo maggiormente i sindacati.
Un lavoratore coinvolto nel processo può indicare difetti, guasti, malfunzionamenti. L’esperienza della Toyota ci dice che lavoratori che collaborano agendo punto per punto sulle linee, danno il vantaggio di avere vetture affidabili, senza aspettare che i difetti di produzione vengano rilevati a fine linea.
Il WCM è anche il coinvolgimento di tutti i livelli aziendali.
Gli operai hanno riconosciuto l‟importanza del piano di Marchionne e sollecitato l’azienda in direzione del suo rispetto. Il sindacato fa bene ad assumere un atteggiamento propositivo, nonostante le chiusure della Fiat. Altrimenti, il rischio è di combattere una battaglia difensiva e di sostanziale retroguardia».
Per le parole di Luciano Gallino si rimanda a www.rassegna.it, 7 febbraio 2008.
Come si può notare, da queste poche citazioni, come spesso accade quando si hanno modifiche organizzative di ampia portata si hanno opinioni diverse sull’efficienza e sui miglioramenti che queste teorie organizzative portano al sistema produttivo e alle condizioni dei lavoratori.
Questa difformità di valutazione e considerazioni, spesso in forte e radicale contrasto tra loro, non aiutano a risolvere la questione della possibilità di successo di un sistema assai coinvolgente come il WCM in un contesto come quello attuale, rimandando necessariamente al tempo, giudice assoluto, l’esame e il vaglio finale.
Un mio piccolo contributo . . . leggendo qua e là . . . scritti di Maurizio Canauz
Giorgio Andreani